Una metodologia semplice ed efficace per il cambiamento in azienda

Uno degli aspetti su cui rifletto molto è la ricerca di una metodologia che sia semplice ma allo stesso tempo efficace per la preparazione e successiva gestione dei miei progetti.  Lo faccio spesso anche durante le corse cercando di trarre ispirazione dalla relativa semplicità di gestione di un piano di allenamento.

Nel corso degli anni insieme ad alcuni colleghi abbiamo cercato progressivamente di mettere a punto una metodologia che coniuga alcune delle principali best practice a livello globale con strumenti di facilitazione: ne è nato un insieme di strumenti e di linee guida che mantenendo il project management su un livello abbastanza semplice e lineare, ci ha consentito di affrontare efficacemente una serie di situazioni, anche abbastanza complesse, di progetti di cambiamento aziendale.

In particolare abbiamo individuato tre passaggi centrali che caratterizzano la gestione del progetto, per ciascuna delle quali trovare strumenti specifici e adatti: prima di tutto l’analisi dell’esistente, finalizzata a “smontare” l’organizzazione e capire bene  il suo funzionamento attuale e le possibili aree di miglioramento; il secondo passaggio è finalizzato all’evoluzione dell’organizzazione, mediante lo studio di una nuova “disposizione sul campo” dei vari elementi tecnici, organizzativi e umani; infine la terza fase mette in azione la nuova organizzazione, monitorandola e sostenendola con un processo di miglioramento continuo e di ‘fine tuning’.

Per garantire l’efficacia, in ciascuno di questi tre passaggi occorre intervenire a vari livelli, sull’organizzazione e sui processi come sulle risorse umane: per questo utilizziamo un mix articolato di strumenti, metodologie e best practice. Senza mai perdere di vista il faro guida: la semplicità per chi è coinvolto nel processo.

Ci piacerebbe parlarne vis-a-vis con chi sta i azienda e il cambiamento deve affrontarlo tutti i giorni. Per questo è nata l’idea di organizzare una giornata di lavoro su questi strumenti e linee guida, il Laboratorio PM LAB, che si terrà a Milano il giorno 21 ottobre 2010 dalle 9.00 alle 17.00. Chi fosse interessato può trovare maggiori informazioni cliccando qui.

A proposito del project management semplice

Sempre per rimanere in clima estivo, mi soffermo di nuovo sul tema della semplicità. Forse perché riposando si riscoprono e si apprezzano maggiormente le cose della vita che sono, appunto, semplici.

Una delle cose semplici che mi piace tanto fare è correre a piedi nudi sulla battigia, come nel film ‘Momenti di gloria’. E’ veramente una sensazione unica e quando inizio non mi fermerei più. Quest’anno la spiaggia si prestava e non mi sono fatto scappare l’occasione, via le scarpe e partenza per una bella corsa. Sono andato, andato, andato ….. fino a che ho avvertito un fastidio e mi sono  accorto che i miei poveri piedi, non abituati all’esercizio, si erano spellati tutti!

Poco dopo, mentre mi curavo le ferite e mi davo dello stupido, il pensiero è stato del tipo “bel project manager che sei, che non riesci nemmeno a fare l’ovvia previsione che correndo sulla sabbia ti ‘brucerai’ i piedi!” Ho quindi riflettuto che la cosa che mi pareva più ‘semplice’ in realtà non era esattamente la più semplice. Non lo era per l’ovvia ragione che le mie risorse (i piedi) non erano attrezzate e addestrate per il task in questione (correre sulla sabbia). La cosa più semplice, per davvero, sarebbe stata correre sulla sabbia, ma con le scarpe….

Quindi nella realtà non avevo pianificato un bel tubo e non mi ero posto per niente il problema di trovare la strada più semplice. Ho ingenuamente commesso il più classico degli errori di project management, ovvero farsi prendere dall’entusiasmo per il progetto e dimenticarsi di considerare metà delle variabili, di solito quelle di costo e rischio.

Ma sono in vacanza, per cui alla fine mi sono auto-assolto…..

Il project management deve essere semplice

Sarà il caldo di questo periodo dell’anno e la voglia di rallentare il ritmo in vista delle ferie, ma in questi giorni rifletto spesso sul tema della semplicità nel project management. Ho avuto modo di rifletterci in particolare l’altro giorno perché, come ogni anno in luglio, dedico qualche mezza giornata in libreria a passare in rassegna tutti i libri sul tema, in cerca di qualche novità.

Non me ne abbiano i colleghi ma una cosa che mi ha sempre disturbato un po’, in particolare per quel che riguarda i testi italiani che trattano di project management, è la tendenza a trattarlo in modo pesante e complicato. Quasi a volere dimostrare e sottolineare che anche il project management è una scienza con le sue complessità, eh perbacco!

L’altro giorno invece è stata una di quelle volte in cui ho respirato una boccata di ossigeno. Ho trovato per caso su uno scaffale un libricino, che non è nemmeno così nuovo ma che per qualche misteriosa regione gli anni scorsi mi era sfuggito. The Project Manager’s Book of Checklists (vedi), un libro intero fatto solo di check list! Fantastico!

Me lo sono letto di un fiato – essendo fatto di
elenchi, non ci vuole molto – e alla fine mi sono
chiesto come mai tendiamo sempre un po’ tutti a
complicare quello che complicato non è. Magari il
metodo può essere strutturato, oppure il progetto
complesso, ma l’essenza del project mangement è
semplice. Anche in questo caso l’approccio alla
preparazione della maratona ci dovrebbe aiutare,
anche se poi ce lo dimentichiamo sempre: ‘keep it
simple!’ direbbero i guru americani
Veramente utile lettura, la consiglio a tutti sotto
l’ombrellone.

Me lo sono letto di un fiato – essendo fatto di checklist, non ci vuole molto – e alla fine mi sono chiesto come mai tendiamo sempre un po’ tutti a complicare quello che complicato non è. Magari il metodo di gestione di un determinato progetto può necessitare di essere maggiormente strutturato, oppure il progetto può essere complesso, ma l’essenza del project mangement è semplice.  ‘Keep it simple!’ ho sentito dire una volta da un guru americano, la ricerca della semplicità come linea guida. Bisognerebbe tenerlo a mente anche quando si scrivono i libri. A me aiuta la preparazione per la maratona, correndo faccio fatica e allora mi riesce più facile ricordarmi che devo ricercare la semplicità e la via più diretta alle cose. Anche se poi giungendo al lavoro non sempre mi riesce facile perseguire la strada del pragmatismo per rendere le cose pratiche, essenziali ed efficaci.

Veramente una utile lettura, la consiglio a tutti. Non sotto l’ombrellone, in fin dei conti siete in vacanza, ma come utile vademecum da portarsi sempre dietro e consultare all’occorrenza.

La maratona, le arti marziali e l’equilibrio energetico dei progetti

Un collega (che in realtà poco sa delle arti marziali) mi ha fatto osservare l’altro giorno che a differenza delle arti marziali, che sono basate e favoriscono l’equilibrio energetico, la maratona no, “brucia” energia, è un’attività estremamente energivora. Devo ammettere che lì per lì mi sono trovato spiazzato da questa considerazione, mi pareva sensata e ineccepibile. Ho cominciato quindi a riflettere sull’equilibrio energetico all’interno delle varie attività, sportive e non, e sul senso stesso di equilibrio energetico.

Sono partito dalla constatazione che io sono in equilibrio energetico e, anzi, l’attività podistica mi ha favorito un maggiore equilibrio fisico e mentale a tutti i livelli. Il che sembra confermare l’ipotesi, non mia, che la maratona è una sorta di arte marziale, seppur in ‘salsa occidentale’, in contraddizione con quanto affermato dal collega. Ma dove trovare una spiegazione convincente? Ho provato ad affidarmi alla fisica riflettendo sui principi della termodinamica (vedi).

Cercando di semplificare, la fisica dice che data una quantità di energia immessa Q1 una macchina, per quanto efficiente possa essere, trasformerà in lavoro W solo una parte di questa energia mentre una parte Q2 sarà dispersa, tipicamente sotto forma di calore. Questo concetto descrive il funzionamento della cosiddetta “macchina di Carnot” e anche il corpo umano dell’atleta non sfugge al funzionamento di questo tipo.

Courtesy of Wikipedia
Schema della macchina di Carnot - Fonte: Wikipedia

In primissima approssimazione l’atleta durante la propria attività brucia energia (il pane e la pasta!), il Q1, ne trasforma una parte in lavoro (la corsa!), il W, e la restante parte la “butta fuori” sotto forma di calore Q2 che viene dissipato mediante il sudore.

A un’analisi più attenta ci si rende conto che l’energia non è trasformata tutta in lavoro utile in quel momento ma anche in lavoro ‘potenziale’, nel senso che nel corso del ciclo alimentazione-allenamento vengono immagazzinate in qualche modo energie sia fisiche che psichiche da utilizzare successivamente.

Un fattore ulteriore, comune ad altre discipline sportive, è che le energie fisiche e psichiche sono immagazzinate secondo modalità che permettano il loro utilizzo in modo molto direzionale e finalizzato.

Qui secondo me sta la vera analogia tra la maratona e le arti marziali: sono discipline che insegnano a gestire l’energia, a immagazzinarla per poterla utilizzare all’occorrenza, in una direzione bene precisa e con elevata intensità.

Sul suo interessante blog Formazione Marziale Walter Allievi fa al proposito una interessante analogia tra la metafora della maratona e quella del pugno:  in effetti quello che cambia tra la maratona e il pugno sta ovviamente nella velocità di erogazione dell’intensità, in un caso si parla di qualche ora nell’altro di frazioni di secondo, ma sempre di azione direzionale e intensa si tratta, sono momenti in cui si ‘spara’ fuori tutta l’energia che si è accumulata in allenamento, sia mentale che fisica.

Allenarsi a gestire i progetti è un po’ la stessa cosa ed entrambe le metafore ci aiutano: perché il project management possa essere efficace e incisivo, occorre che il project manager sappia preparare e gestire le risorse in modo da orientare lo sforzo di progetto nella direzione corretta, alla giusta intensità e al momento giusto. Per poterlo fare però deve essersi allenato lui e deve avere allenato la propria squadra a una corretta gestione dei equilibri energetici di progetto che non sono da considerare solo in termini economici e di business case, ma riguardano tutte le risorse coinvolte: umane, tecniche, organizzative e, certo, anche economiche e finanziarie.

Anche i progetti, in definitiva, sono soggetti alle inesorabili leggi della termodinamica, anche se spesso tendiamo a dimenticarlo, forzando equilibri energetici insostenibili e sorprendendoci poi se il progetto ‘scoppia’.

Anche il Project Management è una questione di dettagli

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Non che segua particolarmente il calcio: sono diventato interista da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata, al lunedì sbircio i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.
Però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’inter di quel personaggio pirotecnico che è lo special one.
Al di la del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa a effetto, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare a studiarlo ad appiano gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a madrid.
‘la champions è la competizione dei dettagli’ disse in una delle prime interviste. Sembrava un modo di dire, ma ha poi dimostrato che era così. Lavorando in modo ultra meticoloso è riuscito a realizzare un progetto che era riuscito a nessuno per mezzo secolo.
Facendo cosa? Applicando in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Programmazione gestione riscj, gestione team
Forse perche di scuola anglosassone

Mi sono sorpreso a citare Mourinho durante un corso di formazione. Ma come, mi sono detto, proprio io che mi sono sempre autoimposto di non usare metafore calcistiche nei corsi di formazione, come codice di condotta per evitare inutili discorsi da bar sport? Oltretutto non seguo particolarmente il calcio. Sono blandamente interista fin da bambino e ancora oggi ho un debole per le vicende che riguardano la beneamata: al lunedì mattina sbircio sui giornali free-press i risultati della domenica calcistica, ma tutto finisce lì.

Devo confessare che però mi ha veramente incuriosito l’arrivo sulla panchina dell’Inter di quel personaggio pirotecnico che è lo ‘Special One’, che avevo scoperto qualche anno prima, leggendone le gesta sui giornali inglesi.
Al di là del clamore mediatico suscitato dalle sue conferenze stampa, la cosa che mi ha colpito e di cui si parla in realtà poco è il suo metodo di lavoro. Tanto che volevo andare una volta o l’altra a studiarlo meglio ad Appiano Gentile ma non ho fatto in tempo, mi toccherà andare a Madrid o chissà dove.

“La Champions League è la competizione dei dettagli, che possono condizionare e determinare una vittoria o una sconfitta. E’ il concetto che più o meno ha espresso in una delle sue prime interviste in Italia e che periodicamente ancora oggi ribadisce. Fu ovviamente accusato di cercare alibi e un alibi sarebbe stato se la frase fosse stata pronunciata da uno che non pratica la programmazione e la pianificazione. Sappiamo come è andata a finire: con il lavoro di pianificazione ultra meticoloso, sui dettagli appunto, è riuscito a realizzare un progetto che non era riuscito a nessuno per mezzo secolo.

Forse perché è cresciuto alla scuola anglo/olandese (tali sono stati, per sua stessa ammissione, i suoi primi maestri), forse perché è semplicemente la sua mentalità, ma sta di fatto che il modo di lavorare di questo personaggio offre una quantità di spunti di apprendimento per chi deve gestire i progetti. Facendo attenzione a quello che dice, al di là delle frasi a effetto, ci parla di come si gestisce un progetto: nelle sue interviste ho sentito parlare di pianificazione di lungo periodo (aveva in mente un’idea di gioco e ha insistito fino a che lo ha ottenuto, in soli due anni, con tutti che giocano a memoria), di pianificazione di breve (la preparazione della partita, studiando gli avversari per ore e ore), di gestione dei rischi (le varie opzioni di sostituzione dei giocatori, già previste per tutte le situazioni possibili), di opzioni di progetto (svariati modi di mettere la squadra in campo), di job rotation (tutti devono saper fare tutto), di gestione del team (un affiatamento quasi tribale), di strategia di comunicazione (occorre commentare?) e mi sto sicuramente dimenticando qualcosa. Quest’uomo vince perché applica in maniera metodica e sistematica i dettami della buona gestione di progetto. Mourinho ha diviso l’Italia in fan appassionati e detrattori feroci, ma non so quanti hanno colto questo aspetto, su cui ci ha insegnato sicuramente qualcosa, perché anche il project management è una questione di dettagli.

Anche l’uscita di scena è stato un esempio di gestione di progetto: i progetti vanno chiusi, va tirata una riga e va detta la parola fine. D’accordo, lo ha fatto in maniera frettolosa e poco elegante, ma quanti progetti invece si trascinano e dopo anni che hanno esaurito il loro compito e il loro significato continuano a ‘sanguinare’ inutilmente, consumando risorse solo per mantenere rendite di posizione per coloro che ne fanno parte, che semplicemente non hanno voglia di rimettersi in gioco con altre sfide? Al proposito vi invito ad ascoltare anche l’audiopost che Enrico Bertolino ha pubblicato sul Sole24Ore e che riporto qui sotto, illuminante.

La valutazione dei fornitori di progetto

Un tema specifico da affrontare nella gestione dei progetti è la gestione dei fornitori. Spesso l’impatto che i fornitori esterni hanno sulla governance complessiva di progetto ha dei risvolti che possono essere significativi, anche perché sui fornitori molto spesso non si ha il controllo che si vorrebbe o si dovrebbe avere.

Questo è tanto più vero al giorno d’oggi, in uno scenario di mercato che vede una sempre maggiore terziarizzazione delle forniture di prodotti/servizi che non sono ‘core’ rispetto al business dell’azienda; e il fenomeno è ulteriormente amplificato per i progetti, che tipicamente vedono l’impiego di una organizzazione temporanea, non si sa per quanto tempo,  e possono godere i maggiori benefici dall’ingaggio di strutture esterne che possono essere utilizzate ‘a gettone’, solo quando occorre.

Ma non è scontato che tutto vada come previsto, occorre mettere a punto degli accorgimenti in sede di valutazione e controllo per mettersi al riparo da sorprese.

Parlerò di queste tematiche, per chi fosse interessato, nel mio webinar sulla Valutazione dei fornitori del 28 maggio (live alle ore 16.00 ) sul portale di Microsoft Aula PMI, che potete raggiungere cliccando su questo link.

La delega e il cerchio della fiducia

Un tema su cui rifletto spesso mentre corro è quello spinoso della delega. E’ un tema che mi capita spesso di affrontare perché è alla base di una efficace gestione dei progetti. Cercando di analizzare quali sono gli ingredienti che consentono concretamente un processo di delega, l’elemento principale su cui concentrarsi è quello della fiducia: non c’è delega che tenga se non si crea un meccanismo che porti alla fiducia reciproca tra il delegante e il delegato. Abbastanza ovvio in teoria, molto meno in pratica. Soprattutto la fiducia che il delegato deve avere nei confronti di chi guida e delega è spesso offuscata da remore che finiscono per mandare in tilt il meccanismo. Questo particolare aspetto viene affrontato in modo abbastanza serio nella preparazione per la maratona, il podista non corre mai 42km in allenamento, deve fidarsi che l’allenatore gli faccia fare le cose giuste. E l’allenatore deve fidarsi che le cose giuste vengano fatte, ha comunque la responsabilità della salute del podista.

Il cerchio della fiduciaL’altro giorno ero di buon umore e al proposito mi sono tornati in mente una serie di episodi di una divertente commedia americana di qualche anno fa, “Ti presento i miei”. Nel film, un futuro suocero un po’ maniacale, brillantemente interpretato da Robert De Niro, testa le qualità del futuro genero, un goffissimo Ben Stiller,  per decidere se consentirgli o meno di sposare la figlia. Tutte le gag su cui si snoda la trama hanno come filo conduttore il ‘cerchio della fiducia‘ e tutti i test messi a punto dal perfido suocero hanno lo scopo di verificare se Greg, il futuro genero, sia all’altezza di assere ammesso nel ‘cerchio della fiducia’ del suocero. E’ interessante notare come la sfiducia di base del suocero, fondata sui suoi preconcetti, porti il povero Greg a fallire miserabilmente tutte le prove e ad essere messo alla porta dal suocero. Solo l’intervento finale della figlia, che fa capire al padre l’atteggiamento assurdo da lui tenuto, salva la situazione e porta il film verso l’immancabile happy ending. Perché ho fatto questo esempio? Perché anche un suocero deve attuare un processo di delega, deve affidare la propria figlia a qualcun altro, imparando a fidarsi del fatto che ne avrà sufficiente cura.

Il caso estremo e volutamente caricaturale del suocero di Greg, mi pare che centri il nocciolo del problema: un’attenta costruzione del cerchio della fiducia è essenziale. Il problema dei preconcetti e della poca abitudine e volontà nel realizzarlo è la base di quel meccanismo a cascata che porta all’atteggiamento sospettoso e dirigista che a sua volta annulla le possibilità di un efficace processo di delega. Quindi il problema non è nemmeno la mancanza di fiducia tout-court, ma è l’incapacità di saperla costruire. Ma perché non sappiamo costruire il cerchio della fiducia? In primis forse non sappiamo costruirlo perché non lo vogliamo, comunque costa fatica e richiede un investimento non banale di energie. Secondariamente c’è il fatto che spesso nessuno ci aiuta a capirne la necessità e ci insegna come farlo.

Possiamo trarre dalle discipline sportive qualche spunto su come costruire il cerchio della fiducia. Osservando con gli occhi dell’esperienza appare chiaro che l’allenatore e coach deve essere il primo attore del processo e deve conoscere l’arte di essere autorevole e ispirare fiducia. Senza di quello, vi fidereste mai dell’allenatore? Secondariamente deve sviluppare capacità di comunicazione ed empatia, in modo da entrare in sintonia con l’atleta e fargli capire i termini della delega, in modo da motivare l’atleta ad avere fiducia nell’allenatore e in se stesso e addestrarlo a gestire bene la delega. Gli strumenti di formazione e coaching consentono lo sviluppo di queste qualità, se applicati con costanza. E poi tanto allenamento, la delega si impara un po’ per volta e un po’ per volta si entra “in forma”.

Evidentemente ci deve essere di base un atteggiamento positivo da parte del delegato rispetto alla delega, ma la responsabilità primaria è comunque del delegante, è lui che deve pianificare il processo di delega, pensare a come metterlo in funzione, vigilare su di esso e fare in modo che funzioni.

Una buona strategia nel lungo periodo paga sempre

Lo spunto me lo ha dato qualche giorno fa una collega che era, per così dire, giù di corda per via di una … avete presente quelle giornate in cui sembra che nulla giri per il verso giusto, che il tanto lavoro fatto non sembra dare dei risultati, in cui ci si sente un po’ sopraffatti e in balia degli eventi, nei quali viene e da dire ‘ok, adesso la pianto qui e aspetto domani perché oggi non c’è nulla che vuol saperne di andare per il verso giusto’? Ecco, una di quelle giornate lì, saranno capitate anche a voi.

684737_sPensando a come risollevare il morale della collega mi sono venute in mente alcune giornate che mi hanno visto tornare a casa da un allenamento con le proverbiali ‘pive nel sacco’. E mi è venuto in mente quello che mi ha detto il mio allenatore una volta che sono andato in crisi dopo 30km e mi sembrava proprio che tutto il lavoro fatto fin lì fosse evaporato: la forma non si può perdere in una settimana.

Senza entrare nel merito, tutti i metodi di allenamento per le varie discipline sportive hanno in comune il fatto di cercare di instaurare un trend positivo, che pur con oscillazioni in alto e in basso, porti a un graduale incremento delle prestazioni fino a raggiungere un obiettivo di forma prefissato il giorno della gara. A ben pensarci, questa è una lezione di strategia che spesso trascuriamo nel lavoro e nella gestione dei progetti.

Ci facciamo prendere dal panico e tendiamo a ridurre tutto quello che è stato fatto (e che sarà da fare di lì in poi) all’esito di un singolo episodio, dimenticandoci che invece l’esito del lavoro svolto dipende da quanto saremo stati bravi a impostare bene il lavoro nel lungo periodo e a portarlo avanti giorno per giorno, con costanza e perseveranza. Nella mia esperienza è capitato varie volte che progetti impostati bene, finiti nel cassetto per le ragioni più svariate e dati per morti siano risorti all’improvviso, anche dopo diversi anni, dando dei frutti in cui nessuno ormai sperava più.

Il buon lavoro e una buona strategia alla lunga pagano sempre, anche se ci sono giorni di ‘blackout’ in cui tutto sembra non funzionare. Così infatti è stato anche per la mia collega, il suo progetto è andato bene.

Project Management e Facilitazione

facilitazioneUn’integrazione interessante alla metafora della maratona e a quelle sportive in generale è sicuramente l’utilizzo di altri strumenti di tipo esperienziale che permettano di sperimentare le interazioni di progetto a vari livelli sensoriali e ‘imparare facendo’ a individuare soluzioni per affrontare in modo efficace le tipiche situazioni operative che si possono incontrare durante lo svolgimento di progetti complessi.

L’integrazione con gli strumenti metaforici classici ed anche con alcuni strumenti innovativi, permette di costruire degli scenari di apprendimento più articolati, con alcuni vantaggi: posso essere sperimentati, sia in ambiente indoor che outdoor i rapporti interpersonali e di gruppo e si possono preparare i partecipanti al successivo coinvolgimento in attività e progetti più intensi e coinvolgenti a livello personale e di progetto. Possono quindi essere sperimentati in un tempo più breve e in uno spazio più circoscritto alcuni aspetti fondamentali di definizione strategica del progetto, lavoro in team, dinamiche di governo, progettazione e gestione di progetti complessi, che poi possono essere messi alla prova e vissuti su un orizzonte temporale più lungo mediante la metafora esperienziale della corsa, che assume quindi un significato più completo perché a quel punto si è in grado di capirne meglio il senso.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema, ne parlerò nel workshop che terrò a Milano  (zona Corso di Porta Romana) il giorno 22 aprile 2010 dalle 14.30 alle 16.30. Per la registrazione e le informazioni sulla location siete pregati di contattare la segreteria didattica al seguente indirizzo: segreteria.didattica@econsultant.it

Potete trovare informazioni sui tool Metalog, che saranno presentati e utilizzati nel corso del workshop, anche cliccando su questo link.

Project Management e cambiamento in azienda

Un aspetto su cui di recente rifletto durante le mie corse è come un buon approccio ai progetti possa essere determinante per la gestione del cambiamento in azienda.

Le riflessioni muovono dalla ricerca di soluzioni operative per  un progetto di riorganizzazione che mi vede coinvolto in prima persona in un’azienda in forte crescita e cambiamento e mi spingono a chiedermi quali possano essere le virtù migliori per i project manager di quella stessa azienda. Noto come i ritmi sostenuti dalle persone con cui ho a che fare sono molto elevati, è gente che sta “correndo” una competizione importante, il ritmo delle corsa è elevato e sono sotto pressione. Certe volte queste persone mi ricordano un motore che funziona a pieni giri con inserita la marcia più alta. Stanno andando veramente forte, ma fino a quando?

Questo caso è emblematico della situazione che si vive in tante aziende che mi capita di incontrare in questi tempi di cambiamento; la situazione è tale da creare pressione continua e richiedere lo sviluppo di maggiori virtù di resistenza alla fatica psicofisica, ma quali appunto?

Prendendo spunto dalla corsa lunga di resistenza, sicuramente la prima che viene in mente è la pazienza: non si può pensare di ottenere tutto subito, o procedere a strappi, occorre saper gestire lo sforzo, predisporre una tabella di marcia realisticamente sostenibile e cercare di mantenerla, nonostante si sia circondati di sollecitazioni ad accelerare. Si comincia con il poco, le piccole cose, sforzandosi di programmarle adeguatamente. Poi con un esercizio quotidiano e costante si impara a tenere il passo giusto, a dire di no, a non essere trascinati e ‘schiacciati’ dai progetti.

Un’altra virtù è certamente  la tenacia: è un po’ il duale della virtù precedente, nel senso che quando la fatica assale e si è tentati di lasciare andare il progetto alla deriva, si devono invece raccogliere le forze, cercare di recuperare lucidità e fare lo sforzo di mantenere il ritmo e il programma prefissato, nonostante tutto. Piuttosto, se si era sbagliato il programma e si erano sopravvalutate le proprie forze, occorre ripianificare in maniera attenta, ragionando accuratamente su come fare fronte ai vincoli di progetto durante tutto l’orizzonte temporale rimanente e non limitandosi semplicemente a procrastinare le attività.

Questo aspetto introduce alla terza virtù che mi pare essenziale, ovvero la capacità di programmare guardando oltre l’orizzonte temporale noto: i progetti complessi hanno orizzonti temporali lunghi e molto spesso si tende a trascurare gli impatti nel lungo periodo e a stimarli in maniera molto approssimativa. questo è un errore che alla distanza si paga, esattamente come una errata valutazione della propria resistenza fisica, porta a non concludere uno sforzo fisico prolungato.

Le virtù elencate possono sembrare delle ovvietà agli occhi di chi si occupa di progetti, anche se a mio avviso meritano una sottolineatura importante, perché se è vero che in linea di principio siamo tutti d’accordo, è sulla concreta attuazione alla quotidianità che dette virtù vengono troppo spesso dimenticate. Richiedono esercizio e pratica, ma come esercitarsi? E qui lo sport di resistenza può passare da spunto di riflessione a palestra per l’esercizio delle summenzionate virtù, provare per credere.

Per chi fosse interessato, anche di questo tema tratterò nel mio webinar su Project Management e cambiamento in azienda del 31 marzo (live alle ore 16.00 ) sul portale di Microsoft Aula PMI, che potete raggiungere cliccando su questo link.